Un profilo
David Lazzaretti nacque il 6 novembre 1834 ad Arcidosso, sulle pendici del Monte Amiata, da Faustina Biagioli e Giuseppe Lazzaretti, di mestiere barrocciaio. Alle soglie dell’adolescenza David ebbe una vocazione religiosa che non poté seguire per l’opposizione del padre. Nella primavera del 1848 questi condusse il figlio, allora quattordicenne, a lavorare con sé in Maremma. Trovandosi da solo nei boschi di Macchia Peschi nei pressi di Scansano, il 25 aprile David ebbe una visione nel corso della quale gli venne annunciato che la sua vita era “un mistero”, ma che solo più tardi ne avrebbe compreso il significato. Per più anni Lazzaretti conservò il ricordo della visione. Nel tempo prese ad esercitare come il padre il mestiere di barrocciaio, a ventidue anni sposò Carolina Minucci e di lì a poco ebbe i primi due figli, una femmina che visse pochi mesi e un maschio nato morto. Durante la Seconda guerra d’Indipendenza decise di arruolarsi come volontario nell’esercito piemontese e raggiunse le divisioni del generale Cialdini, che nel 1860 combattevano in Umbria e nelle Marche le truppe pontificie; ad anni di distanza, Lazzaretti recava ancora impressa nella memoria la battaglia di Castelfidardo. Fu poi alla presa di Ancona e all’assedio di Gaeta, e da qui a Capua, a Napoli e in Sicilia. Nel 1861 fece ritorno a casa, riprese il mestiere di barrocciaio e la vita in famiglia; tra il 1862 e il 1867 ebbe altri tre figli, Turpino, Roberto (che morirà nel 1872) e Bianca.
Nel 1868, a vent’anni di distanza dall’apparizione di Macchia Peschi e nello stesso giorno, il 25 aprile, Lazzaretti fu assalito da febbri ed ebbe una nuova visione densa di immagini, simboli e accadimenti. Il personaggio che gli era apparso la prima volta in Maremma, un frate, tornava ora in veste di nocchiero confortandolo nella prova con la sua guida. Gli ripeté che la sua vita era un mistero e gli annunciò che aveva una missione da compiere; gli impose di recarsi a Roma presso la corte pontificia e di rivelare al papa, in forza del proprio mandato, le cose che aveva visto. Nelle parole del vecchio si celava, senza rivelarsi apertamente come tale, la figura di san Pietro. Se alla corte papale Lazzaretti non avesse trovato ascolto, lungo la via del ritorno avrebbe dovuto ritirarsi in preghiera in un monastero nei pressi di Montorio Romano, in Sabina. Gli stati febbrili e le visioni si ripeterono più volte. Quando dopo ripetuti tentativi David fu ammesso alla presenza di Pio IX, il 16 settembre, l’udienza si rivelò deludente. Si ritirò allora in Sabina presso le rovine del convento di Sant’Angelo, in una grotta dove dai primi di ottobre rimase circa tre mesi, tra febbri continue e visioni.
Il soggiorno nella grotta fu un momento decisivo in quella che sarebbe stata l’elaborazione, da parte di David Lazzaretti, di un originale percorso spirituale. All’interno dell’antro scoprì le ossa di quello che gli si rivelò come un suo antenato, Manfredo Pallavicino, che gli consentì poi di richiamarsi al sangue di Pipino e alla stirpe dei reali di Francia. Ebbe nuove visioni nel corso delle quali ottenne dalla Vergine il dono della sapienza e gli venne impresso sulla fronte il segno della sua missione messianica: il “marchio” delle due C rovesciate con la croce nel mezzo (a significare “Cristo in prima e seconda venuta”), destinato a diventare il simbolo della Fratellanza Giurisdavidica. Tornato sull’Amiata ai primi di gennaio del 1869, Lazzaretti si ritirò nel podere dell’amico Raffaello Vichi alle pendici del Monte Labbro. Nel luglio dette inizio sulla cima del monte alla costruzione di un edificio a forma di Torre: qui, dopo un’ultima esperienza di vita eremitica nell’isola di Montecristo, elesse il suo ritiro conducendo una nuova vita di preghiera e di raccoglimento, ma anche di opere. La sua figura era ormai quella di un uomo santo, attorno al quale si raccolsero numerosi i fedeli per ascoltarne la predicazione e seguirne i consigli.
Il 13 aprile 1869, in quello che da allora egli chiamò il “Campo di Cristo”, David parlò in modo profetico a quanti si erano là radunati (180 persone) per aiutarlo nel lavoro di bonifica del campo. Disse del mistero che si celava nella sua vita e dell’annuncio che recava loro e che presto avrebbero compreso.
In questo intenso periodo di vita religiosa Lazzaretti costruì un movimento che trovò aggregazione, tra il 1870 e il 1872, in tre istituti: il primo, la congregazione degli Eremiti Penitenti e Penitenzieri, Lazzaretti l’aveva delineato già nel gennaio 1870 alla vigilia della sua partenza per l’isola di Montecristo. Aveva per simbolo la fede e affondava idealmente le proprie radici nel solco del terz’ordine francescano. Severo nell’osservanza della preghiera, dei digiuni e delle devozioni, l’istituto fondato sul “Monte Labaro” (così David aveva rinominato il Monte Labbro) e a Montorio Romano in Sabina, era concepito da David come il primo esperimento di un nuovo Ordine religioso che attendeva, per prendere forma compiuta, l’approvazione della Chiesa. L’istituto si proponeva la pratica della vita cristiana mediante il perdono, la pace e l’amore per il prossimo, come recitano le Regole stampate a Montefiascone presso la tipografia del Seminario nel 1871. Sul Monte Labbro gli Eremiti si raccoglievano in un romitorio e custodivano il piccolo santuario che David aveva allestito nella grotta, ritrovata durante i lavori per la costruzione della Torre. Sopra l’altare, a memoria della visione che aveva suggellato la sua missione, Lazzaretti collocò l’immagine della “Madonna della Conferenza”, che nella grotta della Sabina era già oggetto di devozione. Il secondo istituto, la Società della Santa Lega e Fratellanza cristiana, risale anch’esso agli inizi del 1870. Le sue Regole furono pubblicate nell’estate di quell’anno ne Il Risveglio dei Popoli, la prima opera a stampa di David Lazzaretti. La Fratellanza Cristiana aveva per simbolo la carità: si proponeva il soccorso scambievole, l’ospitalità, la carità verso gli infermi, ma anche l’educazione ad un comportamento religioso, morale e civile di rispetto e amore nei confronti della Legge di Dio e delle leggi degli uomini. Nella pratica, la Santa Lega si configurava come una sorta di società di mutuo soccorso. Risale infine al 1871 il progetto del terzo istituto, la Società delle famiglie cristiane, che ricevette per simbolo la speranza ed ebbe inizio nel gennaio 1872. La Società costituì l’esperienza più rilevante del movimento: aperta a contadini, artigiani e braccianti oltre che a possidenti di capitali, fu fondata con la messa in comune dei beni e prevedeva l’organizzazione sociale del lavoro e la ripartizione dei proventi. Si proponeva come scopo principale la pratica delle virtù morali e civili da conseguire mediante l’istruzione, per la quale furono fondate due scuole, per i figli e le figlie dei soci. Le Regole prevedevano anche una scuola serale per l’educazione degli adulti. Già in questi primi anni entrarono a far parte della comunità davidiana due sacerdoti della congregazione di San Filippo Neri, Giovan Battista Polverini nel 1871 e Filippo Imperiuzzi nel 1872.
I tre istituti fondati da Lazzaretti nella loro ispirazione essenzialmente religiosa e cristiana prefiguravano per certi aspetti un mondo nuovo, parte della visione escatologica che David Lazzaretti venne elaborando nel corso degli anni Settanta. Improntata in modo originale a un messianismo nutrito dell’eredità gioachimita recepita attraverso le Lettere profetiche di san Francesco di Paola, ma anche della meditazione in profondità del Vecchio e del Nuovo Testamento, la visione di David, se per un verso alimentava l’attesa della punizione divina per i peccati degli uomini e per l’infedeltà della Chiesa, recava anche sottesa la promessa del dischiudersi prossimo di un’età nuova e di un’umanità rigenerata.
Le opere di David suscitarono proseliti ma anche persecuzioni: fu arrestato una prima volta nell’agosto 1871 e incarcerato per breve tempo a Scansano. Nel 1873, dopo un breve soggiorno a Torino presso la Casa di don Bosco e uno più lungo in Francia presso la Certosa di Grenoble dove compose Il Libro dei celesti fiori, di ritorno sul Monte Labbro fu di nuovo arrestato e processato a Rieti con l’accusa di truffa, vagabondaggio e cospirazione politica. Sostenuto da membri influenti della gerarchia ecclesiastica e degli ambienti religiosi, Lazzaretti poté avvalersi dell’autorevole difesa di Stanislao Pasquale Mancini e nel luglio 1874, dopo otto mesi di carcere, fu assolto. In quegli anni soggiornò più volte in Francia presso Léon du Vachat, magistrato, legato agli ambienti monarchici legittimisti. Appartiene a questo periodo la redazione dell’opera più complessa di Lazzaretti, La mia lotta con Dio ossia Il Libro dei Sette Sigilli, stampato nel 1877.
La morte di Pio IX il 7 febbraio 1878 segnò nella percezione di David attorno alla propria missione un mutamento decisivo: «sono abbreviati i giorni per la maturità dei tempi», scriveva nell’incipit degli Editti inviati da Lione per essere presentati a Roma al nuovo pontefice, Leone XIII. Già da tempo intanto il Sant’Uffizio andava raccogliendo documenti per un processo. Il 21 gennaio gli scritti di Lazzaretti erano stati posti all’Indice, ma la pubblicazione del decreto rimase sospesa in attesa dell’esame di fronte al Tribunale. Questo ebbe inizio il 14 marzo 1878 e si concluse nel giro di breve tempo. Durante i giorni del processo David conservò una lucida visione dei margini sempre più ristretti entro cui poteva tentare di comporre l’obbedienza alla Chiesa e la coerenza con le proprie convinzioni. Sostenne di essere stato dotato dello spirito della profezia durante le visioni sperimentate in Sabina, ma di rivelare la verità in nome di Dio, nella dottrina di Cristo e nella sottomissione alla Chiesa Apostolica Romana, della quale si dichiarava «figlio legittimo ». Mostrò di poter sostenere la sua fede con capacità argomentative e consapevolezza delle distinzioni dottrinali e lasciò infine al Tribunale di proseguire il processo in sua assenza, attraverso l’esame degli scritti di cui i giudici erano già in possesso e di quelli che avrebbe inviato loro, accettando già la condanna che ne sarebbe seguita.
Lazzaretti tornò sull’Amiata ai primi di luglio. Il fitto carteggio di quelle settimane tra il Ministero dell’Interno retto da Giuseppe Zanardelli e il prefetto di Grosseto testimonia della tensione crescente da parte delle autorità locali e dell’aperta ostilità ormai anche del clero nei confronti dell’esperienza comunitaria del Monte Labbro. Le accuse rivolte a David e ai suoi seguaci erano di celare sotto forma di atti di religione i preparativi di un tentativo di sovvertimento dell’ordine pubblico: sul monte si inneggiava alla repubblica, si predicava il comunismo, si preparava forse una sommossa. Le casse giunte da Torino alla stazione del Monte Amiata non contenevano però i fucili di cui parlavano le voci diffuse ad arte, ma solo stoffe, per le vesti che Lazzaretti aveva immaginato per sé e per i suoi “credenti”, da indossare durante la “discesa” dal Monte Labbro. La mattina del 17 agosto sulla Torre venne issata una bandiera di legno dipinta di rosso con la scritta “La repubblica è il Regno di Dio”. All’alba del giorno seguente, 18 agosto, David Lazzaretti e tutta la sua gente scesero processionalmente dal Monte Labbro ad annunciare al mondo l’avvento dell’era nuova della giustizia e del Diritto, il regno dello Spirito Santo. Non portavano armi. Ad Arcidosso, mentre un’enorme folla era sopraggiunta dai paesi vicini, un gruppo di carabinieri aprì il fuoco. Un proiettile sparato a distanza ravvicinata colpì in fronte David Lazzaretti, dopodiché i militari spararono sulla folla e fecero morti e feriti. Adagiato su una scala di legno e trasportato a piedi dai suoi alle Bagnore di Santa Fiora, David morì quella sera attorno alle 21, nel letto di un contadino. Aveva 44 anni.